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Vandana Shiva pianti semi biologici nel Parco della biodiversità di Expo. (Foto: Bio Bank/Rosa Maria Bertino)
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Nella biodiversità il seme del futuro
Dall’India all’Italia per un’agricoltura più sostenibile. A colloquio con Vandana Shiva
di Rosa Maria Bertino – Agricoltura – luglio-agosto 2015
«My name is doctor Vandana Shiva, from India».
La scienziata indiana, paladina della biodiversità, ride e risponde così a chi le chiede di spiegare in un minuto chi è. Laureata in fisica quantistica presso l’Università di Western Ontario in Canada, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua instancabile attività in difesa dei diritti fondamentali dei poveri del mondo.
«Ero un fisico, un fisico quantistico e ho imparato che tutto è collegato, nulla si può separare, tutto è potenziale, nulla è durevole. Ed è questo ragionamento che ho applicato all’agricoltura. Perché nel mio Paese ho visto il disastro della fabbrica di pesticidi di Bhopal, i numerosi suicidi di contadini nel Punjab intrappolati dai debiti per pagare sementi ibride e transgeniche, fertilizzanti e pesticidi. Dunque quello che faccio oggi, attraverso Navdanya è salvare i semi, fare agricoltura biologica, creare giustizia, creare pace».
Navdanya, che in hindi significa nove semi, è il movimento che ha fondato nel 1991 per la salvaguardia della biodiversità e dei semi autoctoni, minacciati dalla diffusione delle coltivazioni industriali.
E proprio da una manciata di semi inizia il suo viaggio ad Expo: semi di ocra dall'India, fagioli rossi dalla Grecia, semi di zucca amara e di grano Verna dall’Italia. Scava piccole buche nella terra nera e pianta semi. Al suo fianco il presidente di BolognaFiere, Duccio Campagnoli, che l’ha voluta come madrina per inaugurare il Padiglione del biologico il 16 maggio.
Siamo nel Parco della biodiversità, il cuore verde di Expo, che si estende per 8.500 metri quadrati, fino alla Porta Est. Un catalogo vivente essenziale dell’agrobiodiversità italiana, con oltre 300 specie di piante che riproducono i paesaggi del Belpaese: dalla montagna alpina alla Pianura Padana, dall’area appenninica fino alle coste mediterranee.
A due passi Palazzo Italia dove un poster ci regala la frase emblematica di Bruno Munari "Albero: l’esplosione lentissima di un seme”.
Mentre sul piazzale, epicentro della manifestazione mondiale sul cibo, l’Albero della Vita stupisce migliaia di visitatori di tutto il mondo con il suo colorato trasformismo da luna park.
Sullo sfondo staglia il rosso del padiglione di Coca Cola. «Che ci fa qui vicino la Coca-Cola?» dice Vandana Shiva. Si ferma. Dal sari verde tira fuori una piccola macchina fotografica e scatta alcune immagini. Dall’altra parte, oltre il decumano, McDonald’s.
Che cosa pensa della partecipazione delle multinazionali ad Expo, anche in relazione al tema "Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”?
«Le multinazionali sono ad Expo così come sono in tutto il mondo. Ma ci siamo anche noi, per assicurare che in Expo non sia solo la voce delle multinazionali ad essere ascoltata, perché ci sia un confronto tra questi due sistemi. Vogliamo portare la voce dei semi e della terra, dei piccoli agricoltori e delle generazioni future.
Quindici multinazionali controllano i semi e il cibo e cinque controllano l’elaborazione del cibo. Distruggono la biodiversità, privatizzano i nostri semi, influenzano la ricerca scientifica, negano ai cittadini il diritto di essere informati attraverso leggi sull'etichettatura degli Ogm. È un diritto democratico sapere quello che mangiamo! Vogliono imporre un modello agricolo basato su sostanze tossiche e chimiche che non appartiene alla terra e non appartiene al nostro corpo. Propongono un cibo fatto da un'aggregazione di zuccheri e grassi, inadatto a nutrire le persone, dannoso per la nostra salute e soprattutto per quella dei nostri figli. E questo è un problema per tutto il mondo.
Le multinazionali non nutrono il pianeta. Lo affamano».
Saremo quasi 10 miliardi nel 2050. Come vede la grande sfida legata all'aumento della popolazione mondiale e alla possibilità di garantire cibo sufficiente per tutti?
«Nei semi sono riposte le speranze per la salute del pianeta e dei nostri bambini. Come dimostrano le nostre ricerche, più sono diversificati i semi e più cibo abbiamo a disposizione. È un’illusione quella che si debba distruggere la diversità per ottenere più cibo e nutrire il mondo.
Ci sono tre ragioni per cui non accetto gli Ogm, già da prima della loro commercializzazione. Innanzi tutto perché accelerano la distruzione della biodiversità. Poi perché le multinazionali monopolizzano le sementi, fingendo di averle create loro. E infine per l’impatto sulla biosicurezza, sulla salute, sulle condizioni socio-economico e sull’ambiente.
Più ci sarà biodiversità, più gli agricoltori guadagneranno. Quindi la fame, la povertà, il cambiamento climatico, la questione delle migrazioni e dei rifugiati, trovano tutte una risposta in quei semi di libertà e di speranza.
L’Italia è al centro di questa tempesta perfetta: da un lato la crisi dei rifugiati e dei migranti nel Mediterraneo, dall’altro il grande tema di Expo sul futuro del cibo e dell’alimentazione. Lampedusa è il simbolo di questo incontro di persone provenienti dai paesi del nord Africa verso i paesi del sud Europa».
Quale contributo possono dare i paesi ricchi e le agricolture più avanzate per rispondere a questa sfida?
«Non sono ricchi, se sono poveri in compassione, solidarietà e biodiversità. Non possono pensare di avere un’agricoltura avanzata se sono avanzati solo nella distruzione del pianeta e della biodiversità».
Il battesimo del Forum Internazionale del biologico, è anche l’occasione per presentare il manifesto Terra Viva promosso da Navdanya International, l’associazione con sede a Firenze di cui Vandana Shiva è presidente. Sono oltre cento pagine fitte di analisi e proposte per un nuovo modello agricolo, economico e democratico, frutto del lavoro e dell’elaborazione di un gruppo di ricercatori ed esperti provenienti da tutto il mondo, guidato dall’ecologista indiana.
Quale visione proponete con il manifesto Terra Viva?
«Il Manifesto propone una transizione dall’attuale modello lineare ed estrattivo verso un approccio circolare e restitutivo. La logica lineare ed estrattiva delle risorse è a senso unico. È quella del prendere senza dare. Porta al collasso ecologico e sociale, perché produce scarti materiali, i rifiuti, e scarti sociali, i poveri, gli emarginati, i disperati. Il modello circolare è invece basato sulla legge del ritorno, sulla reciprocità del dare e ricevere, sulla rigenerazione delle risorse. L’agricoltura biologica restituisce fertilità al suolo e assicura una remunerazione giusta ed equa agli agricoltori, perché possano restare sulla terra e produrre cibo abbondante e nutriente per le comunità».
Sul manifesto Terra Viva si parla anche del ruolo fondamentale delle donne, perché collegano terra e consumo. Da un lato custodiscono la diversità genetica, dall’altro producono e preparano il cibo. Collegano anche la sfera sociale con quella economica. E sono loro a trasmettere le conoscenze alle nuove generazioni.
Si portano dati e cifre sull’accaparramento delle terre, il cosiddetto land grabbing. Una nuova forma di colonialismo, che si appropria della terra di comunità povere a prezzi bassi e senza il loro consenso, in India, Africa, America Latina e altre parti del mondo. Uno sradicamento di comunità e culture umane, rappresentato eufemisticamente come "trasferimento indotto dallo sviluppo” mentre si tratta di investimenti speculativi, per costruire miniere, fabbriche, strade e autostrade.
Ma soprattutto è un invito ad uscire dalla "sindrome TINA” (There Is No Alternative - Non c’è alternativa) perché un’altra strada è possibile. Ma solo a partire da un nuovo modello di pensiero.