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Paesaggio agricolo con coltivazioni biologiche. (Foto: Being Organic in Eu)

Mercato

10 sfide da affrontare per la crescita del biologico in Italia

Il ruolo chiave dell’indirizzo politico-strategico europeo e nazionale, l’importanza dell'aggregazione fra produttori bio

di Francesco Torriani * – 20 novembre 2024

Abbiamo chiesto un contributo sulle 10 sfide attuali del biologico a Francesco Torriani, presidente del Consorzio Marche Biologiche, il distretto biologico più grande d’Europa, con 2.100 imprese agricole che coltivano 71mila ettari e realizzano complessivamente un fatturato di 100 milioni di euro. 
Sfide nel bio ce ne sono sempre state, fin dalle origini. Prima per esistere, poi per governare la crescita tumultuosa, ora per continuare a crescere, affermandosi come modello di sostenibilità per l’intera filiera agroalimentare. 
Come emerge nell'analisi delle 10 sfide del bio, fattore fondamentale è l’indirizzo politico-strategico europeo e nazionale. Ma altrettanto fondamentale è il ruolo dei produttori biologici, che devono essere sempre più in rete e agire come un vero e proprio sistema. Solo così sarà possibile affrontare la crescente complessità del mercato globale, puntando su qualità e identità del made in Italy bio.

Rosa Maria Bertino

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Le 10 sfide del bio

  • 1 - Semplificare la normativa
  • 2 - Ridurre i costi produttivi
  • 3 - Comunicare i valori del bio
  • 4 - Riconoscere il giusto prezzo
  • 5 - Affrontare la crisi climatica
  • 6 - Riformare i contributi europei
  • 7 - Garantire la reciprocità
  • 8 - Investire nella ricerca
  • 9 - Semplificare la gestione dei dati

  • 10 - Favorire l’aggregazione

  • 1- Semplificare la normativa

Accanimento legislativo ed eccesso di burocrazia sono pane quotidiano per il settore. Quando parliamo di accanimento legislativo ci riferiamo ad esempio all’ultimo esempio lampante: il decreto non conformità, rinominato decreto "ammazza bio”. La complessità normativa spinge molte realtà, soprattutto le piccole aziende, verso la decertificazione, minacciando il tessuto produttivo del bio.

Bisognerebbe invece rilanciare la certificazione di gruppo, eliminando le limitazioni dell’attuale testo normativo comunitario, con un approccio di filiera. Vanno sviluppate politiche che incentivino davvero l’aggregazione, per una gestione più efficiente della certificazione e delle pratiche burocratiche collegate. 

  • 2 - Ridurre i costi produttivi

I produttori biologici sostengono costi maggiori, insostenibili, fra certificazione, minori rese, maggior lavoro per l’esclusione di prodotti chimici di sintesi, ecc. Un dato di fatto che rende il sistema produttivo biologico meno competitivo.

Occorre reagire investendo sull’innovazione sia da un punto di vista organizzativo che da un punto di vista tecnologico, favorendo la creazione di reti di impresa e partenariati fra produttori. Questo porterà a ridurre i costi di produzione, con la collaborazione di università e centri di ricerca, in un’ottica di sistema, per investire in ricerca e innovazione, curando in maniera particolare il trasferimento dell’innovazione lungo la filiera agroalimentare attraverso i servizi di consulenza.

  • 3 - Comunicare i valori del bio

Oggi circa il 50% dei consumatori italiani non conosce il logo comunitario che identifica i prodotti biologici. Il consumo pro-capite in Italia di prodotti bio è ancora notevolmente inferiore alla media europea: 60 euro/anno contro gli oltre 90 euro/anno. Negli ultimi anni sono aumentate le campagne promozionali di prodotti agroalimentari che fanno riferimento al "naturale”, al "sostenibile” senza indicare con chiarezza il sistema di certificazione adottato, creando non poca confusione tra i cittadini consumatori. Infine, da tutte le indagini effettuate, emerge la necessità di maggior informazione sulle caratteristiche dei prodotti bio da parte dei cittadini consumatori.

Andrebbero pertanto incentivati progetti promozionali capaci di comunicare i tanti aspetti qualitativi del biologico, non solo ai "bio lovers puri” ma anche ai consumatori "ordinari”, quelli che entrano in un punto vendita semplicemente per fare la spesa e che potrebbero uscire con un carrello della spesa più biologico. Servono progetti promozionali con finalità educative, rivolti alle nuove generazioni (è evidente il ruolo fondamentale delle istituzioni pubbliche) ma anche con finalità commerciali (ruolo importante dei produttori organizzati). Va quindi contrastato efficacemente il greenwashing con una comunicazione efficace, in grado di mettere in luce le peculiarità dell’agricoltura biologica, a partire dal principale standard di sostenibilità certificata, previsto dalla normativa comunitaria.

  • 4 - Riconoscere il giusto prezzo
Sul mercato vanno contrastate le pratiche commerciali sleali. Certo, non è possibile pagare la materia prima a dei prezzi inferiori ai costi di produzione. Ma se i produttori bio non faranno un salto di qualità nell’organizzazione della filiera, aggregando l’offerta e integrandola con la trasformazione e commercializzazione, difficilmente si riusciranno a contrastare efficacemente le pratiche commerciali sleali.

Il mercato cerca prodotti da filiera controllata, biologici, italiani, ecc. a prezzi sempre più competitivi. La questione prezzo finale è quindi sempre più centrale e non possiamo scaricare sul consumatore le inefficienze delle filiere produttive.

  • 5 - Affrontare la crisi climatica
Ormai è sotto gli occhi di tutti che i cambiamenti climatici impattano sempre più negativamente non solo sulle rese quali e quantitative delle nostre colture, ma anche sulla "sicurezza” delle nostre comunità. La cosa grave è che, se anche ad un tratto tutti diventassimo agricoltori virtuosi, ambientalmente parlando, gli effetti sul clima nel medio periodo sarebbero ininfluenti. Le politiche del Green Deal europeo nascono per contrastare e comunque mitigare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, cercando non solo di riparare i danni, ma di frenare i fattori che li causano.

Gli agricoltori biologici, non possono che condividere tali obiettivi. Tuttavia, è necessaria una politica solida e lungimirante, capace di tradurre questi obiettivi in misure concrete ed efficaci. Queste devono affrontare i cambiamenti climatici e, al contempo, conciliare la tutela dell’ambiente con la sostenibilità economica e sociale delle imprese agricole, oggi sempre più in difficoltà. Questo aspetto è cruciale. È evidente, inoltre, che anche la politica agricola comune (Pac) dovrebbe essere profondamente rivista, modulando i contributi per superficie con interventi mirati alla gestione del rischio.

  • 6 - Riformare i contributi europei
Il taglio dei contributi a superficie della Pac, previsti dal primo pilastro, era stato preannunciato. Sebbene la Pac continui a rappresentare la principale voce di spesa dell'Unione europea, le risorse si sono progressivamente ridotte nel corso degli anni. Basti pensare che negli anni ’80 la Pac assorbiva il 66% del bilancio europeo, mentre oggi ne rappresenta solo il 37%. Nel Piano Strategico della Pac si è cercato di compensare, almeno in parte, questi tagli attraverso gli eco-schemi. Tuttavia, le aziende agricole si sono ritrovate con una riduzione del 30-40% dei contributi a superficie.

È necessario affrontare il problema critico della rendita fondiaria generata dai contributi a superficie. Molte aziende che beneficiano di tali contributi non operano realmente come imprese agricole. In alcune regioni, inoltre, esistono ancora titoli Pac con valori estremamente elevati, ormai privi di ogni giustificazione. È indispensabile impedire ulteriormente la compravendita delle quote Pac, che rappresenta una delle principali cause di distorsione del mercato degli affitti. I contributi a superficie devono essere destinati esclusivamente a chi vive di agricoltura, costituendo un’integrazione reale al reddito dell’imprenditore agricolo, sia esso singolo o associato, e non una rendita fondiaria a vantaggio del solo proprietario. Inoltre, i contributi a superficie previsti nei Complementi per lo Sviluppo Rurale, in particolare per l’agricoltura biologica, dovrebbero essere indirizzati prioritariamente secondo una logica di filiera o di distretto. L’obiettivo deve essere quello di integrare la dimensione ambientale con quella economica e sociale, per sostenere un’agricoltura davvero sostenibile e competitiva.

  • 7 - Garantire la reciprocità
In Europa, l’innalzamento degli standard produttivi, sia ambientali che sociali, comporta spesso un aumento dei costi di produzione. Nel frattempo, assistiamo all’ingresso sul nostro mercato di materie prime a prezzi più bassi, spesso prodotte con standard qualitativi, ambientali e sociali ben lontani dai nostri. Questo squilibrio pone una questione cruciale: ha senso chiedere il ripristino dei dazi doganali, come in passato?

Probabilmente no, poiché l’Italia è un grande esportatore di prodotti agroalimentari trasformati, e il ritorno ai dazi potrebbe penalizzare le nostre esportazioni. Tuttavia, il problema della concorrenza sleale rimane ed è urgente. È necessario che l’Unione europea si impegni con forza per affrontarlo, adottando misure che garantiscano una maggiore tutela per i prodotti importati, sia sul piano della qualità ambientale che su quello sociale. Solo così potremo garantire una concorrenza più equa e un mercato realmente rispettoso degli standard che ci sforziamo di mantenere.
Occorre introdurre il principio di reciprocità, ovvero che le importazioni nell’Ue avvengano nel rispetto delle regole che vigono nel nostro mercato interno, evitando qualsiasi forma di dumping economico, ambientale e sociale. 
Occorre investire su un sistema informativo e di comunicazione che metta il cittadino-consumatore nelle condizioni di scegliere in maniera consapevole. Etichette più chiare e trasparenti, ma anche strumenti per veicolare la conoscenza di un modello di produzione agricolo sostenibile, in termini ambientali, economici e sociali.

  • 8 - Investire nella ricerca
Il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi del Green Deal, ossia convertire il 25% della superficie agricola utilizzata (Sau) al biologico, ridurre l’uso di agrofarmaci e contrastare la perdita di nutrienti, avrà inevitabilmente un impatto sulla produttività agricola. Tuttavia, pensare di centrare questi traguardi affidandosi unicamente al recupero delle cosiddette varietà antiche, all’utilizzo delle popolazioni evolutive o continuando a fare ricorso in modo sistematico alle deroghe sarebbe un approccio del tutto inadeguato. Una transizione sostenibile e concreta richiede soluzioni innovative, investimenti in ricerca e tecnologia, oltre che un quadro normativo che supporti realmente le imprese agricole nel raggiungere questi obiettivi, senza compromettere la produttività e la competitività.

Senza una nuova consapevolezza nel mondo del biologico sulla necessità di investire in un importante piano di ricerca indirizzato alla selezione di nuove varietà, adatte al metodo biologico, attraverso un bio breeding coerente con i principi dell’agroecologia, sarà difficile affrontare con successo la sfida della distintività e della produttività.
Questi aspetti sono fondamentali per il futuro dell’agricoltura biologica. Inoltre, senza un impegno concreto nello sviluppo di filiere specializzate per la moltiplicazione di questo nuovo materiale genetico, la nostra critica agli Ogm, siano essi tradizionali o di nuova generazione, rischia di perdere credibilità. Innovazione e coerenza scientifica sono essenziali per rafforzare l’identità e la sostenibilità del biologico.

  • 9 - Semplificare la gestione dei dati

Anche le aziende biologiche devono beneficiare delle opportunità offerte dalla digitalizzazione, sia dal punto di vista produttivo che dal punto di vista dei servizi. In particolare, i servizi in agricoltura vanno profondamente rivisti in una logica di filiera produttiva e non solo di gestione del fascicolo aziendale, come avviene oggi che è finalizzato esclusivamente alla domanda unica. Un caso emblematico è la questione della compilazione elettronica dei registri aziendali, che sta mettendo in crisi l’intero mondo produttivo agricolo: un ennesimo aggravio burocratico per gli agricoltori.

La gestione dei dati delle produzioni agricole è parte fondamentale del valore aggiunto delle produzioni e pertanto andrebbe gestita dagli agricoltori con delle strutture ad hoc. Bisogna essere maggiormente consapevoli di questo aspetto e organizzarci di conseguenza. Fondamentale sarà investire su piattaforme digitali interoperabili.

  • 10 - Favorire l’aggregazione
L’agricoltura è al centro di tre importanti sfide: alimentare, climatica/ambientale ed economica. La sfida alla transizione in tutte le sue declinazioni di fatto sta mettendo in discussione il modello di impresa agricola che abbiamo conosciuto in gran parte fino ad ora. A questa situazione oggettivamente difficile, si aggiunge un limite strutturale del comparto agricolo italiano, ovvero l’eccessiva frammentazione, dato che il 50% delle aziende agricole italiane ha una Sau inferiore a 3 ettari. Abbiamo un tessuto imprenditoriale di piccole e piccolissime aziende agricole che faticano a stare nel mercato. Lo ha riconosciuto la stessa Commissione europea che ha raccomandato al nostro Paese di aumentare le misure che favoriscono l’aggregazione. Infatti, promuovendo l’aggregazione dell’offerta e creando filiere più stabili ed integrate, si raggiunge anche l’obiettivo di garantire una remunerazione più equa per tutti gli attori della catena alimentare. Se vogliamo produrre per il mercato, occorre promuovere l’aggregazione.

Le filiere cooperative accorciano i passaggi, riducono i costi di produzione, sono in grado di fare economie di scala promuovendo investimenti collettivi. Una filiera può fornire maggiore valore aggiunto ai propri soci attraverso assistenza tecnica, servizi di consulenza e remunerando ai propri soci la materia prima maggiormente rispetto al mercato. L’obiettivo di sostenere le aziende agricole nelle aree montane, previsto dalla legge nazionale per il biologico (Legge 9 marzo 2022, n. 23) dovrà passare necessariamente attraverso una nuova capacità di fare rete e sistema, sia dal lato produttivo che da quello dei servizi.


* Francesco Torriani è presidente del Consorzio Marche Biologiche e del Settore Biologico di Fedagripesca Confcooperative Nazionale.