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Massimo Piraccini e Lorella Rossi, fondatori di Chef Service, laboratorio forlivese di specialità e conserve vegetali artigianali, biologiche e di qualità. (Foto: Bio Bank/Rosa Maria Bertino)
Aziende
30 anni di Chef Service: ecco perché è strategico per i produttori bio
Il ruolo del laboratorio forlivese di specialità vegetali bio per l'economia del territorio, gli scenari del bio nel 1995 e oggi, le voci dei protagonisti
di Rosa Maria Bertino – 26 maggio 2025
Tre chiavi per un anniversario
I trent’anni di Chef Service, laboratorio forlivese di specialità e conserve vegetali artigianali, biologiche e di qualità, sono l’occasione ideale per fare il punto su trent’anni di biologico in Italia. E lo facciamo disegnando due scenari. Il primo sulla realtà del biologico nel 1995, quando Chef Service ha iniziato la sua attività, il secondo sulla realtà del biologico oggi. Scenari focalizzati sui sette pilastri chiave del settore:
✔ Produzione e trasformazione
✔ Offerta e varietà dei prodotti
✔ Distribuzione e canali di vendita
✔ Consumi e consumatori
✔ Informazione e consapevolezza
✔ Regolamentazione e certificazione
✔ Ruolo nella politica agricola europea.
L’anniversario è anche il momento perfetto per celebrare insieme la storia e i traguardi raggiunti da Chef Service, fondata dallo chef Massimo Piraccini e Lorella Rossi (nella foto), coppia di lavoro e di vita. Per riflettere sul percorso compiuto e delineare quello futuro. E anche per capire il ruolo strategico svolto per l’intera filiera del biologico in Romagna e oltre.
Infine, e non è meno importante, è la circostanza giusta per ringraziare pubblicamente, da parte mia e di Bio Bank, per questa amicizia trentennale che ha superato la prova del tempo.
Infine, e non è meno importante, è la circostanza giusta per ringraziare pubblicamente, da parte mia e di Bio Bank, per questa amicizia trentennale che ha superato la prova del tempo.
Oltre al nostro intervento, che fa il quadro del bio e del ruolo di Chef Service nel bio, diamo conto degli interventi degli altri partecipanti all’incontro, moderato da Marco Susanna, che si è tenuto domenica 25 maggio 2025 presso l’azienda agricola I Nani di Giada. Non per mera cronaca, ma perché pongono interrogativi cruciali per il settore. E ragionare su dove sta andando il biologico è vitale, per non andare invano.
Lo scenario del bio nel 1995
L’offerta bio era basica: frutta e verdura, cereali e legumi, pasta e pane, succhi e conserve, seitan e tofu di tradizione antichissima in Asia, ma assolutamente innovativi per l’Occidente. La trasformazione era agli inizi e la disponibilità di prodotti biologici trasformati scarsa.
La distribuzione avveniva in gran parte attraverso la vendita diretta, tra spacci aziendali e mercatini, e nel circuito dei circa 800 negozi specializzati fioriti uno dopo l’altro in varie città d’Italia dalla metà degli anni Settanta. La grande distribuzione era residuale.
I consumi bio erano lo zero virgola qualcosa sul totale dei consumi alimentari, con un giro d’affari assolutamente marginale. I consumatori erano spinti principalmente da motivazioni salutistiche (assenza di pesticidi e chimica di sintesi) e da una sensibilità ambientale pionieristica.
L’informazione sul bio al consumatore era affidata soprattutto al tam-tam, al passaparola, essendo ancora un mercato di nicchia.
La regolamentazione muoveva i primi passi, dopo l’entrata in vigore del regolamento europeo 2092/1991. Una svolta fondamentale per dare certezza normativa al settore, dopo la fase pionieristica degli anni Settanta e dopo la pubblicazione delle prime norme che tracciavano l’identikit del bio nel 1985. Parallelamente il sistema di certificazione si stava definendo nei vari Stati membri. In Italia operavano sei organismi di certificazione.
Di conseguenza anche il ruolo del bio nella politica agricola comunitaria era alle prime battute, dopo anni di sostanziale opposizione alla stessa idea di sviluppo agricolo portata avanti dal movimento bio.Lo scenario del bio oggi
L’offerta di prodotti biologici è vastissima, con ampiezza e profondità di gamma in tutte le categorie alimentari. La trasformazione, fase cruciale della filiera, si è sviluppata in modo dinamico e innovativo. Un esempio per tutti? La pasta, disponibile in mille varianti: secca, all’uovo, fresca, surgelata, di grano duro, di altri cereali, di cereali antichi, di legumi, integrale, con superfood, aromatizzata e non solo.
A trainare le vendite è sempre di più la grande distribuzione, con una quota sulle vendite bio del 64%, che ha reso il bio popolare e accessibile grazie alla rete capillare dei punti vendita e alla visibilità dei bio sugli scaffali. I negozi specializzati, poco più di 1.000 con una quota del 20%, restano punto di riferimento per una clientela più consapevole ed esigente, analogamente a quanto accade in Germania e Francia. Tutti gli altri canali si spartiscono la quota restante del 16% tra vendita diretta, mercatini, gruppi d’acquisto, negozi tradizionali, erboristerie, farmacie, parafarmacie ed e-commerce.
I consumi bio sono il 4% del totale dei consumi alimentari. Il valore del mercato bio italiano ha superato i 10 miliardi di euro, di cui il 50% di con consumi domestici, il 13% con i consumi fuori casa, il restante 37% con l’export. Le motivazioni dei consumatori sono più ampie. Non solo salute personale e rispetto dell’ambiente, ma anche benessere e rispetto degli animali (che fanno lievitare i consumi veg), sostenibilità sociale ed equità, trasparenza e affidabilità, origine delle materie prime e tracciabilità.
L’informazione sul bio al consumatore ha visto importanti iniziative, mille eventi, campagne pubbliche europee e nazionali, tanta comunicazione aziendale su carta stampata, web e ora sempre di più sui social. Ma c’è ancora un immenso lavoro da fare se da una recente ricerca di Swg per AssoBio sul consumo dei prodotti biologici in Europa emerge che il 75% degli intervistati ritiene difficile capire se un prodotto è biologico o meno, mentre il 49% non si fida delle certificazioni bio.
Sul versante della regolamentazione poi, il corpo normativo europeo e nazionale è diventato talmente complesso, intricato e pesante, da sconfinare nell’accanimento legislativo e nell’eccesso burocratico. Un freno a mano tirato per l’ulteriore sviluppo del settore. Tanto che tra le 10 sfide da affrontare per la crescita del biologico in Italia al primo posto c’è proprio la semplificazione normativa. In Italia operano una ventina di Organismi di certificazione, di cui quattro sono stati acquisiti o sono controllati da multinazionali della certificazione di Stati Uniti, Francia, Germania e Svizzera.
Il ruolo del bio nella politica agricola europea è un dato di fatto e il valore dell’agricoltura biologica consolidato. In un recente documento la Commissione europea ha ribadito l’importanza dell'agricoltura biologica e della produzione biologica alla luce del contributo alla riduzione dell'uso di fertilizzanti, pesticidi e antibiotici e degli impatti positivi che generano sull'ambiente, sul clima, sul suolo, sull'acqua, sull'aria, sulla biodiversità, sul benessere degli animali e non solo.
Ma poi devono seguire i fatti. E c’è ancora tanta strada da fare per sostenere e incentivare "realmente" il biologico, che dovrebbe essere il cuore pulsante dell'Unione europea in ambito agricolo, agroalimentare e ambientale, con grandi benefici sulla salute dei cittadini europei. La stessa Corte dei conti europea in un recente rapporto evidenzia lacune e incoerenze che ostacolano il successo delle politiche europee sull'agricoltura biologica, illustrate punto per punto nell’articolo Agricoltura biologica: l'Unione Europea ha sbagliato mira? Sì!
Il valore di Chef Service
Ma torniamo a Chef Service, che nella filiera bio si colloca nella strategica fase della trasformazione. Strategica perché la trasformazione è la forza motrice del made in Italy bio, tanto apprezzato sui mercati esteri. Non a caso l’Italia è al primo posto, su oltre 40 Paesi europei, per numero di aziende di trasformazione, il 26% del totale.E Chef Service è forza motrice del territorio, perché consente a centinaia di aziende agricole di valorizzare tutto l’anno le loro produzioni stagionali, integrando il reddito agricolo con la vendita diretta.
«Sono oltre 500 le aziende agricole, per il 70% romagnole, che fanno trasformare le loro materie prime nel nostro laboratorio - conferma lo chef Massimo Piraccini - spaziando fra più di 2mila ricette che ho creato negli anni proprio per loro: succhi, composte, passate, paté, salse, sughi, sottoli, caramellati e creme spalmabili. Inoltre anche piatti pronti e gastronomia fresca per la ristorazione. Tutto rigorosamente biologico certificato. Un’attività che impegna 15 persone tutto l’anno, più di 20 durante i picchi stagionali, con un fatturato che ha raggiunto 1,2 milioni di euro nel 2024. Tutte le materie prime che acquistiamo e utilizziamo nelle nostre lavorazioni sono esclusivamente biologiche. E le aziende agricole biologiche nostre clienti spesso sono anche nostri fornitori di materie prime. Ma effettuiamo lavorazioni anche per aziende agricole convenzionali, utilizzando i loro prodotti. Oggi, più che celebrare noi stessi, - conclude Piraccini - vogliamo ringraziare le tante persone che ci hanno aiutato ad arrivare fin qui. Una fra tutte Alberto Bergamaschi, nel 1995 certificatore per Qc, che ha impostato per noi un sistema di certificazione semplice da applicare a una lavorazione complessa, facile da gestire, ma soprattutto trasparente ai controlli dell’organismo di certificazione e degli altri enti pubblici. Cosa che si è rivelata fondamentale».La voce degli operatori
Ed ecco una rapida carrellata con le testimonianze dirette degli operatori del settore che hanno partecipato all’incontro moderato da Marco Susanna, tre aziende agricole, primo anello della filiera e una di trasformazione. Perché, quando ragioniamo sul biologico e sul suo futuro, dobbiamo sempre avere in mente i loro volti e le loro storie che ci coinvolgono e ci interrogano.Per ognuno abbiamo indicato il legame con Chef Service, solo per far capire come queste realtà si collegano e interagiscono in modo sinergico.
Giovanni Drei dell’azienda agricola biodinamica Tre Querce di Forlì ha raccontato del suo ingresso in agricoltura a 40 anni: «Ho iniziato un po’ per sfida un po’ per rimettermi in gioco. Pensavo che la noce fosse un frutto facile da coltivare. Mi sbagliavo. Fare bio si è rivelato difficile, biodinamico ancora di più. Il biodinamico è stato però risolutivo per una malattia che aveva colpito tutte le piante di noce, bio e convenzionali, del nostro territorio. Con i preparati biodinamici le nostre piante si sono riprese magnificamente alla stagione successiva. Quindi ho scelto la biodinamica non per fede, ma dopo la sperimentazione in campo. E dico, dati alla mano, che l’agricoltura biodinamica ha una marcia in più». Le sue noci biodinamiche vanno ai Gruppi d’acquisto solidali e, tramite EcorNaturaSì, si vendono anche nei negozi specializzati. Tre Querce è sia fornitore che cliente di Chef Service, che acquista noci biodinamiche da utilizzare nelle sue ricette e prepara per loro il pesto di noci.
Paolo Marianini dell’azienda agricola Tirli di Santa Sofia ha cambiato lavoro per fare agricoltura biologica nei terreni marginali dell’Appennino Forlivese. «Il nostro modello di economia rurale mantiene le tradizioni e il presidio del territorio: coltiviamo grani antichi, li maciniamo nei tre molini a pietra del territorio e facciamo il pane con lievito madre, cuocendolo nel forno a legna. Il nostro pane e la nostra pizza hanno il sapore e la semplicità di una volta. Siamo agricoltori, diversamente fornai». Tirli è tra i fornitori di Chef Service e utilizza la passata di pomodoro di Chef Service per le sue pizze.
Gianni Rivalta dell’azienda agricola Rivalta di Forlì rappresenta in pieno l’agricoltura multifunzionale, integrando la coltivazione di ortofrutta bio con la vendita diretta e l’attività didattica. «Mio padre Luciano ha iniziato a fare agricoltura biologica negli anni Ottanta. Merito del vicino di campo Gino Fiumana che, avendo rischiato di morire per una intossicazione da pesticidi, aveva bandito i prodotti chimici di sintesi dai suoi campi. Dopo 40 anni il bilancio è senz’altro positivo: aumento della fertilità del terreno, della biodiversità e del sapore dell’ortofrutta, riconosciuto dai nostri clienti. Credo che le piccole aziende come la nostra possano salvarsi solo con la relazione diretta con il consumatore. La cultura del bio va trasmessa alle nuove generazioni. Non basta lasciare ai propri figli un mondo migliore, occorre anche educarli perché siano capaci di migliorarlo». Rivalta fornisce materie prime a Chef Service.
La certificazione e l’informazione
In chiusura la parola a un certificatore e a una associazione che intende promuovere la salute in tavola.Alberto Bergamaschi per anni certificatore di Qc e ideatore di schemi di certificazione, si sofferma sui limiti della certificazione e sulla necessità di andare oltre il biologico. «Chi fa il minimo richiesto dalla normativa, quello che io chiamo il "biologico del 6” si guadagna il logo europeo del bio esattamente come chi fa prodotti bio d’eccellenza. Inoltre la certificazione bio non tocca tanti altri aspetti che riguardano l’azienda, le materie prime e il prodotto. Il bio è uno degli aspetti, non il solo che determina la qualità reale di un prodotto, quella da comunicare ai consumatori affinché possano scegliere in modo consapevole».
Giovanni Amadori, presidente dell’Associazione Dino Amadori, intitolata al padre, fondatore dell’Istituto Oncologico Romagnolo e dell’Istituto Tumori della Romagna, ha presentato in anteprima il progetto per la Romagna Bio. «I primi studi sistematici sulla correlazione tra alimentazione ed elevata incidenza del tumore allo stomaco in Romagna li dobbiamo a mio padre e al suo team di ricerca. Così pure le prime iniziative di sensibilizzazione. Con questo progetto intendiamo valorizzare produttori e produzioni biologiche del territorio, per portare la salute in tavola. Anche perché le origini della nostra storia agroalimentare sono senza pesticidi».