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Pianeta Terra, installazione presso La Fabbrica delle Candele a Forlì (Foto: Bio Bank/Rosa Maria Bertino)

Mercato

Il bio che verrà tra sfide e opportunità

Le risposte di Bio Bank ad Euromonitor International sul presente e sul futuro del bio

di Rosa Maria Bertino – 7 gennaio 2020

Il mercato del biologico in Italia è sotto la lente di Euromonitor International.
La società londinese, specializzata in analisi strategica di mercato, sta infatti preparando il nuovo report Health and Wellness, in parte dedicato ai prodotti bio, per fare il punto sullo stato dell’industria alimentare, individuare tendenze recenti e fattori chiave che guidano la crescita, fornire approfondimenti sulle preferenze dei consumatori.
La ricerca sul campo si svolge anche attraverso interviste con rappresentanti delle aziende leader del settore, associazioni ed enti di ricerca nazionali.
Tra le varie realtà italiane che Euromonitor ha scelto di intervistare c’è anche Bio Bank. Ecco le domande che abbiamo ricevuto da Justyna Górszczyk, analista del mercato food in Italia per Euromonitor, e le risposte che abbiamo dato.

Come si spiega il successo del bio in Italia? Quali fattori giocano il ruolo più importante nella scelta degli alimenti bio? La qualità degli ingredienti, la provenienza locale, la moda?

La crescita del mercato bio è un fenomeno mondiale. Crescono le superfici arrivate a 69,8 milioni di ettari. Crescono i produttori arrivati a 2,9 milioni. Crescono le vendite che toccano quota 92 miliardi di euro. Come emerge dai dati 2017 pubblicati sull’annuario statistico The world of organic agriculture 2019 a cura di Fibl e Ifoam.
L’Italia non fa eccezione con una crescita continua delle vendite che nel 2018 hanno superato i 4 miliardi di euro, mentre l’export ha raggiunto 2,3 miliardi di euro (dati Nomisma per Osservatorio Sana). Inoltre, sempre nel 2018, le superfici ad agricoltura biologica hanno raggiunto quasi 2 milioni di ettari con circa 80mila operatori. Lo conferma il Sinab, aggiungendo che dal 2010  gli incrementi registrati sono di oltre 800mila ettari e 27mila aziende agricole.
I consumatori acquistano alimenti bio perché rispondono a tre bisogni fondamentali:
> salute, ovvero cibi più sani;
> sicurezza, ovvero cibi senza pesticidi e altre sostanze indesiderate,
> ambiente, ovvero cibi coltivati e prodotti nel rispetto della natura.
Ovviamente sono importanti anche altri fattori come la qualità organolettica, l’origine delle materie prime e molti altri. Ma questi sono i tre pilastri decisionali.
La moda identifica invece fenomeni passeggeri e non è questo il caso.
Il "successo” del bio è una spinta costante e inarrestabile verso la sostenibilità. Per tutti, bio e non.

Qual è il profilo del consumatore italiano di questi prodotti?

Il 44% dei consumatori acquista alimenti bio nella grande distribuzione, il 19% preferisce i negozi specializzati, per l’offerta disponibile (24%) e la maggiore fiducia nei prodotti venduti (19%). Otto consumatori su 10 hanno acquistato bio nell’ultimo anno e il 42% acquista prodotti bio almeno una volta la settimana. Tra le categorie più acquistate spiccano frutta e verdura (scelte dal 61% dei consumatori), seguite da latte e derivati (57%) e uova (53%).
Ecco l’identikit del cliente tipo dei punti vendita specializzati: donna (79% degli intervistati), età compresa fra i 35 e i 45 anni (50%), con figli di meno di 12 anni (43%), di reddito medio-alto (78%), affezionato al bio, con una spesa bio che incide dal 40 all’80% sul totale carrello alimentare (63%), che sceglie i prodotti in base a un particolare stile di vita come veg, light o free from (50%). Dati che emergono dalla ricerca condotta da Nomisma per Osservatorio Sana 2018.
Questo invece il profilo delle famiglie acquirenti di alimenti bio secondo una ricerca Nielsen del 2019: risiedono al Nord (62%), reddito alto (67% sopra la media), famiglie poco numerose (40% di single) e di formazione recente, responsabile acquisti di età compresa fra i 35 e i 44 anni (63%).

Quali categorie di alimenti bio performano meglio sul mercato italiano?  Per quali motivi?

Secondo dati Nielsen le 15 categorie di alimenti bio più vendute nella grande distribuzione nel 2018, in ordine di importanza a valore, sono: uova, confetture e spalmabili a base di frutta, panetti croccanti, sostitutivi del latte Uht, latte fresco, pasta di semola integrale-farro-kamut, olio evo, yogurt intero, verdura di IV gamma, biscotti, cereali per la prima colazione, frutta secca senza guscio, limoni, nettari, farine-miscele. Le uova sono al primo posto anche per incremento di vendite rispetto al 2017.
Molto presenti i prodotti per la prima colazione, che confermano il desiderio di una colazione sana a casa, per iniziare bene la giornata.
Per le uova sicuramente hanno inciso le numerose video inchieste e i servizi giornalistici sulle condizioni di vita insostenibili delle galline negli allevamenti intensivi. Per la pasta la ricerca di prodotti integrali (che per essere sani devono essere bio) o con farine alternative al grano. E così via.
Se guardiamo invece all’insieme dei canali distributivi, la fetta più rilevante della spesa bio è destinata a frutta e verdura, derivati dei cereali, latte e latticini. Con le uova bio che si confermano il prodotto più venduto rispetto al totale della categoria (dati Ismea 2018).
Anche nelle mense scolastiche bio la classifica dei prodotti più dichiarati vede al primo posto frutta e verdura. Seguono cereali e farine, pasta, succhi e conserve, latte e derivati, legumi e olio (dati Bio Bank 2018).

Qual è il ruolo dell’innovazione in questo ambito? Cosa riguarda principalmente l’innovazione: prodotto, servizio, marketing? Quali sono stati i recenti lanci innovativi e per quali motivi sono stati di successo?

L’innovazione è un fattore distintivo del biologico. Sempre a partire da una intuizione, seguendo un percorso costellato di curiosità, ricerca e originalità. Come testimoniano le storie raccolte da Bio Bank anno dopo anno, pubblicate sul portale biobank.it nella sezione Storie bio
A volte è innovativo il processo produttivo. Come ha fatto Quasani con per la Mandorla di Toritto, eccellenza del territorio barese che da alimento salutistico è diventato ingrediente per un’intera gamma di formaggi vegetali a base di mandorle. O come ha fatto Euro Company con le sue specialità gourmet e bio-veg a base di frutta secca fermentata.
A volte è innovativa la scelta delle materie prime. Come partire dai legumi per produrre pasta (Andriani), oppure cous cous (Sipa International). Oppure utilizzare melagrane per fare l’aceto (Acetificio Mengazzoli).
Innovazione è anche non mettere limiti alla qualità in un prodotto tradizionale e di qualità per eccellenza. È il caso del Parmigiano Reggiano del Caseificio sociale Santa Rita Bio, prodotto in territorio montano solo con latte di Vacca Bianca Modenese, razza storica in via di estinzione.
È innovativo anche spezzare la catena del caporalato, creando una filiera etica del pomodoro, come ha fatto Altromercato con il progetto Solidale Italiano.
Altre volte l’innovazione è nella riscoperta di materie prime dimenticate, come i grani antichi utilizzati per la pasta artigianale e gli altri prodotti AmoreTerra. Oppure i grani antichi siciliani utilizzati nei prodotti I Fornai Siciliani distribuiti da La Città del Grano.
Ci sono anche innovazioni che riguardano il servizio. Ad esempio il brodo in filtro ideato da Taflo, comodissimo anche in viaggio.
Tutti questi prodotti si inseriscono a pieno titolo in alcuni trend emergenti: il valore del territorio e del made in Italy, la scelta vegana, etica e salutistica, la domanda di qualità funzionali.
Su tutto la ricerca costante della qualità, vero passe-partout per aprire nuovi mercati.

Ci sono sviluppi del bio nel segmento pet food?

Nelle case degli italiani vivono 7,3 milioni di gatti e 7 milioni di cani. Per la loro alimentazione si sono spesi oltre due miliardi di euro in Italia nel 2018, con una crescita dell’1,5% sul 2017 (Rapporto Assalco-Zoomark 2019).
Gli animali da compagnia sono considerati membri della famiglia a tutti gli effetti. Chi acquista  alimenti bio per sé, come può scegliere per i suoi amici animali prodotti con materie prime scadenti, pieni di conservanti e altri ingredienti poco salutari? L’opzione bio viene quindi estesa anche a loro. È un comparto da tenere d’occhio, destinato a crescere.

Come si presenta il panorama distributivo dei prodotti bio? Come è cambiato negli anni? Quali sono le recenti trasformazioni dei canali distributivi? Quali canali hanno attualmente il peso maggiore e per quale motivo?

Il mercato cresce, ma è soprattutto la grande distribuzione a intercettare la crescita, sia con investimenti sempre più elevati nelle private label bio, sia con l’ampliamento degli assortimenti bio. Momento delicato quindi per i negozi specializzati. C’è tanto bio e si trova ormai dappertutto.
Nel 2009 le vendite di prodotti bio passavano per il 45% negli specializzati e per il 29% nei supermercati, nel 2018 la situazione è capovolta (21% contro 47%), come emerge dal Focus Bio Bank - Supermercati & Specializzati 2019.
Ma non accade solo in Italia. La Gdo è il principale canale distributivo del bio anche in Germania con il 59% delle vendite e in Francia con il 46%.
Negli ultimi tre anni le vendite bio nei supermercati in Italia sono cresciute con incrementi a due cifre: +28% nel 2016, +43% nel 2017, +21% nel 2018. Mentre le vendite nei negozi bio segnano il passo. Anche se tra Germania, Francia e Italia si concentra il maggior numero di negozi di alimenti biologici.
Nei canali restanti passa il 17% delle vendite, nella ristorazione il 15%.

Come si sviluppa il canale foodservice dei prodotti bio? Quali sono i più importanti trend di questo canale?

La spesa degli italiani per mangiare fuori casa ha raggiunto quota 82,8 miliardi di euro nel 2017, con un incremento reale del 4,7% rispetto all’anno precedente, secondo i dati diffusi da Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi). Un valore che comprende sia la ristorazione commerciale, sia quella collettiva.
Il mercato della ristorazione biologica è stimato invece in 606 milioni di euro nel 2018, con una crescita del 46% rispetto al 2017, poiché nell’ultimo anno è stata compresa nel totale anche la stima del canale bar pari a 104 milioni di euro (dati Nomisma per Osservatorio Sana)
Un trend positivo confermato anche dai dati Bio Bank. In 23 anni i ristoranti bio sono cresciuti di otto volte, passando dai 71 censiti per la prima volta nel 1996 ai 554 rilevati del 2018. Sostenuto anche l’incremento degli ultimi cinque anni pari al 36,5%.
Le mense scolastiche biologiche in Italia sono state censite da Bio Bank fin dal 1996 quando erano appena una settantina e nel 2018 sono arrivate a oltre 1.400 realtà. Un canale in crescita, che crescerà ancora grazie agli incentivi del Fondo per le mense scolastiche bio istituito nel 2017 e attivo dal 2018.
Naturalmente il quadro non comprende il consumo crescente di prodotti bio nel canale Horeca per il quale non esistono stime (a parte i bar, come abbiamo appena visto). Quindi è un dato assolutamente parziale che non fotografa l’intero segmento del bio, certamente in crescita anche in questo canale, pieno di potenzialità.

Qual è il ruolo della marca del distributore nel segmento bio? Quali sono i recenti sviluppi delle private label bio in Italia? Quali sono le insegne che si distinguono per il maggior numero di referenze bio? In quali comparti lanciano i loro prodotti?

La marca privata si è evoluta nel tempo. Prima esprimeva semplicemente convenienza. Oggi è vero e proprio brand, capace di captare nuovi stili di vita e nuovi orientamenti del mercato, tra eccellenze, biologico e funzionale.
Secondo il censimento Bio Bank 2018 sono 26 le catene della grande distribuzione con una propria marca dedicata agli alimenti bio. E sono triplicate rispetto alle nove catene rilevate nel 2001. Nell’arco di 18 anni le referenze bio si sono invece moltiplicate per sette, passando dalle 644 rilevate con il primo censimento Bio Bank del 2001 alle 4.323 del 2018. Le catene leader 2018 per il maggior numero di referenze bio sono Coop con 750 referenze, Esselunga con 368, Pam Panorama con 366. I lanci dei prodotti dipendono dal numero di referenze: una volta coperte quella basiche, si va a quelle complementari e poi ai prodotti più ricercati, ma sempre con molta attenzione alla rotazione a scaffale. I prodotti che non girano escono di scena e le linee anno dopo anno vengono razionalizzate, ottimizzate.
È stato un processo lungo quello dell’ingresso del bio nelle marche della grande distribuzione, segnato da tappe fondamentali e battute d’arresto, ma negli ultimi anni la situazione è in pieno fermento e in crescita a due cifre. Non è un caso che dal 2017 Bio Bank ha scelto di pubblicare il Focus Bio Bank- Supermercati & Specializzati, dedicato proprio all’approfondimento della dinamica tra il canale emergente dei supermercati e quello storico dei negozi specializzati.

Come si presenta il panorama competitivo del settore alimentare bio attualmente?
Quali sono i segmenti del food dove la competizione è più visibile?
Quali sono i punti forti dei big players rispetto ai leader storici, e invece in cosa si distinguono i leader storici?

Ora che il bio è uscito dalla nicchia per diventare fenomeno di massa, il mercato è diventato più complicato. Basta guardare lo scompiglio in atto anche a livello distributivo: gli specializzati bio soffrono la concorrenza dei supermercati, i supermercati quella dei colossi dell’e-commerce ed è tutta una corsa a diversificare e integrare i canali di vendita.
La linea bio è ormai d’obbligo per le aziende agroalimentari piccole, medie e grandi e diventa fiore all’occhiello nella comunicazione. Il caso più emblematico è senz’altro quello della pasta dove l’offerta bio è cresciuta a dismisura riempendo metri e metri lineari di scaffali nei supermercati.
Le grandi aziende hanno un potere di mercato consolidato e tecniche di marketing affilatissime. Ma chi diversifica nel biologico è credibile se fa almeno prodotti bio di qualità, ma ancora di più se fa scelte sostenibili per l’intera azienda a 360°.
Ovvero se ha un approccio strategico e non tattico al biologico.
Ai pionieri del settore non mancano le risorse per continuare la loro scalata di valori: origine delle materie prime, filiere biodedicate, passaggio al biodinamico, impronta etica, sociale, solidale.
Per i consumatori sarà sempre più importante l’intera storia dell’azienda e non tutti hanno una storia da raccontare.

In quale direzione si dirige il mercato bio in Italia? È un mercato maturo? Quali saranno i futuri sviluppi di questo mercato, nei prossimi tre anni?

Il mercato continua a crescere e tutti i segnali fanno pensare che continuerà così, anche se - complice la crisi - nel medio periodo potrebbe avere ritmi meno sostenuti. Non è un mercato maturo, ma ancora ricco di potenzialità.
La vera sfida non è la spartizione della fetta attuale di mercato tra i vari canali distributivi, ma l’ampliamento della platea di persone interessate agli alimenti biologici. E per raggiungere questo obiettivo anche la politica deve fare la sua parte. Sono segnali all’intero Paese il Fondo per le mense scolastiche bio istituto nel 2017 e il Fondo per l'agricoltura biologica previsto nella finanziaria 2020. Occorre premiare chi passa all’agricoltura biologica, aumentare la produzione agricola bio sul territorio nazionale, l’unico modo per ridurre da un lato l’utilizzo di pesticidi, fertilizzanti e antibiotici e dall’altro le importazioni di materie prime, spesso di bassa qualità.
L’Italia è prima a livello mondiale per numero di imprese di trasformazione bio arrivate a 19.600 nel 2018. In queste aziende dovrebbe trionfare il made in Italy bio, la valorizzazione delle materie prime bio nazionali, regionali, locali. Guardando all’Europa segnali positivi sono l’aver inserito l’incremento dei terreni coltivati ad agricoltura biologica tra le 50 proposte della roadmap dell’European Green Deal, il primo piano europeo sul clima. La transizione verso l’agricoltura biologica significa favorire la biodiversità e contrastare il cambiamento climatico. Temi importanti per l’intero Pianeta.