Blog

L'offerta dell'olio sugli scaffali Despar, emblematica per l'ampio assortimento, il numero delle marche e di prodotti bio.  (Foto: Bio Bank/Emanuele Mingozzi)

Mercato

Il bio che avanza tra crisi e opportunità

Le risposte di Bio Bank a Food sugli scenari del bio per il report Healthy e Bio Trends 2022

di Rosa Maria Bertino – 6 settembre 2022

Sono undici gli scenari del bio pubblicati su Healthy e Bio Trends 2022 di Food, ai quali hanno contribuito tra gli altri AssoBio, FederBio, Nomisma e anche Bio Bank. I titoli danno un’idea dei vari aspetti toccati per comprendere mercato e consumi fra criticità e opportunità: 1-Il menu dell'Europa si fa sempre più green, 2-La conquista del bio-West, 3-Il futuro dell'Italian food si chiama agroecologia, 4-Coppia d'assi con Gdo & bio, 5-Anche il risparmio è tutta salute, 6-Cresce la fiducia nel biologico di marca, 7-L’incantesimo del "senza”, 8-Dietro il negozio adesso c'è la serra, 9-Dieci anni da incorniciare, 10-Gli scaffali del salutismo, 11-Il plus dell’appartenenza.
L’approfondimento tracciato da Bio Bank analizza le tendenze del mercato, l’andamento del primo semestre 2022, la dinamica dell’offerta, la sua evoluzione sugli scaffali tra industria di marca e marca del distributore, le strategie della Gdo, la razionalizzazione in atto nei negozi specializzati, le prospettive dell’e-commerce. 
Ecco le domande che abbiamo ricevuto e le risposte che abbiamo dato.



Qual è il bilancio per il biologico nel 2021? Quali le tendenze tra ipermercati, supermercati, discount e negozi specializzati?

Negli ultimi due anni, segnati dalla pandemia, il biologico ha continuato a crescere, perché è cresciuta la percezione di quanto siano correlate la salute personale e quella planetaria. 
Nel 2021 il mercato del bio in Italia ha raggiunto i 4,6 miliardi di euro (+4,9% sul 2020), più che un raddoppio negli ultimi dieci anni, come confermano i dati Nomisma per Osservatorio Sana. 
Ma, come evidenzia il Focus Bio Bank - Supermercati & Specializzati 2021, mentre nei supermercati le vendite bio sono quasi quadruplicate nell'ultimo decennio arrivando a 2,2 miliardi di euro, nel canale storico ruotano intorno a un miliardo di euro, come nel 2012. In dieci anni l’incidenza dei singoli canali sul mercato interno (ristorazione esclusa) si è quindi capovolta: i supermercati sono saliti dal 31 al 56%, i negozi sono scesi dal 53 al 26%, in linea con quanto accade in Francia e Germania. 
Nella grande distribuzione ci sono poi differenze rilevanti nel trend di vendita tra i vari format: a guidare la classifica sono infatti i discount che segnano un +10,7% nel 2021 sul 2020, iper e supermercati crescono solo dello 0,4%, le piccole superfici a libero servizio scendono invece del 5,6%. Caso a parte quello dei drugstore, ancora poco significativi in termini assoluti, ma da tenere d’occhio per l’incremento record del 63,2%, sempre secondo Nomisma.

E per il primo semestre del 2022?

Il 2022 è il vero banco di prova, perché occorre fare i conti con le incertezze di questi anni di pandemia, aggravati dalle conseguenze della drammatica guerra in Ucraina, con crescenti difficoltà nel reperimento delle materie prime e costi stellari per l’energia. Una situazione complessa che genera timori, mentre i prezzi in salita libera spingono l’inflazione.
A oggi i dati disponibili, diffusi da Nomisma, riguardano le vendite bio del primo quadrimestre, che per la prima volta scendono del 2,2%. Sono dati parziali e come sempre i bilanci si fanno alla fine, ma riflettono tutto il disagio delle famiglie italiane.
Crediamo comunque che la propensione al bio resti elevata, perché sostiene bisogni essenziali.

Aumentano l’offerta e l’acquisto di prodotti bio?

Certo, crescono domanda e offerta. I prodotti bio nelle marche della grande distribuzione censiti da Bio Bank sono passati dai 644 del 2001 ai 5.851 del 2020, un’offerta che si è moltiplicata per nove in vent’anni. Nel 2020 si somma il balzo aggiuntivo per l’entrata nel rilevamento di Dm, catena di drugstore che porta in Italia il modello tedesco, specializzato su bellezza e pulizia, ma integrato con l’alimentazione e fortemente orientato al bio. Considerando che per ogni prodotto bio a marchio della Gdo (Mdd) ne entrano quasi tre con le marche dell’industria (Idm), si stima un totale di 22mila referenze bio, variamente distribuite in circa 24mila punti vendita, solo nelle 27 catene censite da Bio Bank.

Come si muove l’industria agroalimentare sul fronte bio? Quali i comparti più dinamici? I nuovi prodotti bio trovano posto a scaffale o sono penalizzati dai prodotti bio a marchio del distributore?

L’industria è entrata a gamba tesa nel mercato del bio con nuovi prodotti e nuove linee, attratta dalle richieste della grande distribuzione. Emblematico lo scaffale della pasta dove l’offerta bio si è ampliata a dismisura, passando dalla classica pasta di grano duro all’integrale, da quella di grani antichi, cereali alternativi o pseudocereali a quella di legumi tradizionali o esotici, senza contare le varianti con innovativi mix o arricchite con superfood. 
Tutti i comparti sono stati toccati dal bio ma, secondo i trend individuati da Bio Bank, cresce l’offerta di alimenti italiani o regionali, vegetariani o vegani, fermentati o alleati delle difese immunitarie. E poi cibi con pochi e semplici ingredienti, ricchi di biodiversità o di ingredienti preziosi oppure senza certi ingredienti dannosi o non tollerati come zucchero, glutine o lattosio.
La gara per arrivare sugli scaffali della grande distribuzione è decisamente impegnativa, ancor più impegnativo restarci. Senza contare che lo spazio per i prodotti con la marca del distributore è e sarà sempre più ampio, a spese di quelli dell’industria di marca. Anche nelle catene di negozi bio, dove domina in assoluto NaturaSì, la marca del distributore gioca e giocherà un ruolo da protagonista.

Come si è evoluta l’offerta bio a marchio del distributore? Su quali segmenti puntano le insegne italiane?

Negli anni la marca del distributore si è evoluta moltissimo, con l’aumento delle marche dedicate, con le referenze bio sempre più presenti anche in altre marche della catena, con un numero crescente di referenze che interessano nuovi comparti. Ormai c’è un paniere base di alimenti bio presente in tutte le catene.
Rilevante l’ortofrutta, pari al 22% delle referenze bio con la marca del distributore. Come riporta il Focus Bio Bank - Supermercati & Specializzati 2021, su 27 catene censite ben 13 hanno ampliato l’assortimento nel 2020, solo quattro lo hanno ridotto, invariate le restanti. Coop si conferma al primo posto con 950 referenze bio, al secondo posto la catena di drugstore Dm con 605, al terzo Esselunga con 485. 
Secondo le elaborazioni Nomisma su dati Nielsen, tra i 10 prodotti più venduti nella Gdo nel 2021 si trovano in ordine: uova, confetture, bevande vegetali, gallette, latte fresco, olio extravergine di oliva, cereali per la prima colazione, pasta nelle sue numerose varianti, verdure di quarta gamma e yogurt intero.

Quali modelli esteri potrebbero "importare” le insegne italiane della Gdo per sviluppare e valorizzare l’offerta bio?

Possiamo, anzi dobbiamo guardare a ciò che accade nel panorama europeo. 
Nel 2020 la quota di vendite bio nei supermercati in Francia è stata del 55% contro il 29% degli specializzati, in Italia del 56% contro il 26%, in Germania del 60% contro il 25%, in Svizzera dell’80% contro il 9%, in Austria dell’85% con il 15%, mentre in Danimarca le vendita bio passano al 100% dalla Gdo. Quello che accade in Italia è quindi perfettamente in linea con il trend in atto negli altri Paesi europei. Come pure la progressiva concentrazione delle catene di negozi specializzati. 
Non crediamo nell’importazione di modelli esteri e ancor meno in un modello ideale, tanto più nel sistema distributivo italiano, come vari casi hanno ampiamente dimostrato. Crediamo che la partita distributiva vada giocata con le nostre carte e ne abbiamo da vendere. Crediamo che ogni canale debba fare la sua parte e che ognuno debba trovare la sua strada senza imitare gli altri, ma seguendo un suo progetto rivolto al proprio pubblico.

Se al supermercato il bio è convenienza, nello specializzato deve essere appartenenza a prezzi accessibili. I negozi specializzati devono tenere ben salda la vocazione originaria, identitaria, valoriale. Imitare o inseguire le logiche della grande distribuzione non paga. 
Sul versante della grande distribuzione il bio ha varie sfumature e intensità: da chi offre un paniere basico di prodotti bio per rispondere anche a quella fetta di consumatori, fino a chi inserisce il bio in un progetto di ampio respiro che comprende anche alimenti equosolidali, cosmesi biologica e naturale, prodotti ecologici e un orientamento generale alla sostenibilità. Quello che conta è essere coerenti e soprattutto credibili nel tempo. Pensiamo, insomma, che ognuno debba interpretare al meglio se stesso.

Negli ultimi anni il numero di negozi bio è in flessione. A cosa è dovuto questo fenomeno? Quali le possibili soluzioni?

I negozi bio censiti da Bio Bank sono scesi a quota 1.291 nel 2020. Nel calo consecutivo degli ultimi tre anni hanno chiuso 150 negozi (-10% nel triennio):  non solo i piccoli negozi, ma anche quelli intermedi e quelli grandi. È in atto una vera e propria razionalizzazione della rete, perché prosegue la riduzione e la concentrazione delle catene specializzate. E la pressione della Gdo resta altissima, con prezzi vantaggiosi e assortimenti crescenti. Ciò che più colpisce, anche guardando all’Europa, è la capacità della grande distribuzione generalista di fare propri i temi chiave del bio. 
Diventa quindi vitale per il canale storico del biologico, che rappresenta questo mondo al 100%, riaffermare il proprio ruolo guida e la propria bio-identità. I negozi bio devono essere una finestra spalancata sul mondo del biologico, sui produttori con i loro volti e le loro storie autentiche, devono accogliere con personale preparato, profumare di pane fresco, invitare con un imbattibile banco gastronomia, coinvolgere i clienti come parte di una comunità, partecipi di un progetto, azionisti di un mondo migliore. 

È in questi negozi che ha avuto inizio la vendita dei prodotti bio e la loro funzione è come quella del lievito madre nell’impasto. Nell’intero comparto agroalimentare il bio ha avuto esattamente questo ruolo di stimolo, di fermento nel rimodulare l’offerta verso la sostenibilità.
Se nei primi anni Settanta il bio veniva osteggiato e deriso perché considerato impraticabile, oggi che si è dimostrato praticabilissimo a livello globale i pericoli sono altri: la banalizzazione, l’accontentarsi dell’Eurofoglia, la burocrazia, l’iper-regolamentazione, la tentazione di frenare il bio per la pandemia o per la crisi alimentare dovuta alla guerra in Ucraina. Mentre una sola cosa è certa: il biologico fa parte della soluzione, non del problema, perché è al centro della transizione ecologica.

Quale bilancio si può tracciare per il bio nel canale e-commerce?

Secondo i dati Nomisma per Osservatorio Sana l’e-commerce bio vale 19 milioni di euro nel 2019, 46 nel 2020 ed è balzato a 75 nel 2021, valore rilevato nella distribuzione moderna. Numeri che confermano la spinta della pandemia su questo canale distributivo, accelerando un trend già in atto. Difficile tornare indietro dopo aver scoperto i molti vantaggi offerti da questa formula.
La conferma viene anche dai dati pubblicati sul Rapporto Bio Bank 2021 che fotografano il numero di e-commerce aperti da aziende bio, da negozi bio e i negozi solo virtuali dedicati al bio o con un’ampia offerta di prodotti bio.
Gli e-commerce di alimenti bio sono infatti passati dai 326 rilevati da Bio Bank nel 2016 ai 547 del 2020, segnando un +67,8%. Nel solo 2020 sono cresciuti di oltre 140 unità i negozi virtuali censiti, al netto delle pochissime chiusure, con un saldo positivo del 35,1%. A trainare la crescita sempre le aziende di alimenti bio con 461 e-commerce, pari all’84% del totale. Non solo grandi aziende che diversificano, ma anche piccole realtà, spesso del Sud, che cercano sbocchi diretti sul mercato bypassando la lunga filiera distributiva. Il bio avanza quindi anche in questo canale distributivo.