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Graziano Poggioli, socio e coordinatore di Santa Rita Bio Caseificio Sociale 1964 di Serramazzoni, in provincia di Modena. (Foto: Bio Bank/Rosa Maria Bertino)

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Santa Rita Bio: 60 anni in piena forma con il Parmigiano Reggiano

Il caseificio sociale di Serramazzoni (MO) ha abbracciato il bio da 32 anni, creando un’intera filiera biologica certificata per il Parmigiano Reggiano biologico

di Rosa Maria Bertino, Agricoltura maggio 2006, aggiornato al 25 marzo 2024

Non siamo patiti degli anniversari, ma delle storie che custodiscono e rivelano sì, siamo appassionati!
Ecco perché rilanciamo l’articolo su Santa Rita Bio Caseificio Sociale 1964, scritto nel 2006 per il mensile Agricoltura della Regione Emilia-Romagna, che ha raggiunto il traguardo dei 60 anni. Il caseificio è stato infatti costituito nel lontano 1964 per valorizzare il latte dei soci, producendo in proprio il Parmigiano Reggiano. E compie 90 anni anche il più antico dei consorzi alimentari d’Italia, quello del Parmigiano Reggiano, appunto. Mentre il re dei formaggi troneggia dall’alto dei suoi 900 anni, con la stessa identica ricetta nata nei monasteri benedettini, vere e proprie comunità anche agricole.

Graziano Poggioli (nella foto), "frontman”, socio e coordinatore di Santa Rita Bio, ci aggiorna con orgoglio sulla crescita di questa realtà che ha abbracciato il bio da 32 anni, creando un’intera filiera biologica, certificata da Icea. Inoltre, da qualche anno, alcuni dei terreni coltivati a foraggio destinato agli allevamenti dei soci sono trattati con preparati biodinamici. Nove le aziende socie nelle terre montane di Serramazzoni in provincia di Modena, 800 gli ettari coltivati, più di 700 i capi bovini allevati, 32mila i quintali di latte bio conferito, che vengono trasformati ogni anno in più di 5mila forme. Il fatturato di oltre 4 milioni di euro è realizzato per il 30% sui mercati esteri, il resto in Italia attraverso la distribuzione specializzata, la vendita diretta e ora anche l'e-commerce.
Il ritmo produttivo è incessante, con 17 forme ogni giorno: 16 di latte di montagna di Vacca Frisona italiana con stagionatura da 13 a 36 mesi, una di latte di montagna di Vacca Bianca Modenese, Presidio Slow Food, con stagionatura da 18 fino a 180 mesi (aprile 2009). Un unicum nel mondo del Parmigiano Reggiano, uno scrigno di biodiversità.
Non solo. Santa Rita Bio è anche caseificio turistico e didattico aperto a scuole, comitive, camperisti e campeggiatori. E poi ogni anno organizza il Festival del Letame, nato nel 2005, che riunisce con un ricco calendario di eventi un intero territorio bio e slow: prossimo imperdibile appuntamento il 19-20-21 luglio 2024. È inoltre tra i soci fondatori del Distretto Biologico Valli del Panaro e Appennino Modenese, sorto nel 2021, per promuovere l’intero territorio con le molte attività bio che lo tutelano ogni giorno.
Rosa Maria Bertino

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L'innovazione che migliorare l'eccellenza

Cosa sono vent’anni per un prodotto che ha nove secoli di storia? Un soffio.
Eppure, tra le innovazioni più significative della prima Dop italiana, un posto particolare spetta sicuramente all’introduzione del metodo dell’agricoltura biologica, avvenuta negli anni Ottanta.
Migliorare l’eccellenza pare un controsenso. Ma oggi che le crisi cicliche del formaggio più nobile sono diventate crisi strutturali, che la produzione continua a salire e i prezzi a scendere, che le imitazioni si fanno beffe di regolamenti e sentenze, quella scelta lungimirante di alcuni pionieri può essere una delle strade per uscire dalla crisi e rilanciare il più tradizionale dei prodotti.
Una piccola realtà, quella del biologico, all’interno del Consorzio del Parmigiano-Reggiano: una ventina di caseifici sul totale di circa 500 presenti nelle cinque province dell’area di produzione (Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna e Mantova), con una quota dell’uno per cento su oltre tre milioni di forme prodotte ogni anno.

Il Caseificio Santa Rita, una storia iniziata nel 1964

Ma una grande sfida che Claudio Poggioli, presidente del Caseificio Sociale Santa Rita di Serramazzoni (Modena), spiega così: "Se vive lui, viviamo anche noi. E possiamo far vivere questo territorio per noi e per gli altri”.
Gli otto soci del Caseificio allevano 440 vacche, conferendo 22.000 quintali di latte bio che si trasformano ogni anno in 4.000 forme, ad un ritmo di 10-12 al giorno.
"La nostra storia inizia nel 1964 – racconta Poggioli - grazie ai finanziamenti del Piano Verde, che ha permesso a tanti allevatori come noi di creare il proprio caseificio, valorizzando al meglio la materia prima, invece di venderla ai casari”.
Nascono così i caseifici cooperativi, che in terra di cooperazione bianca hanno nomi di santi: Santa Rita, Sant’Anna o San Bartolomeo. La prima grande prova è alla fine degli anni ‘80, per una profonda crisi di mercato e per il cambiamento delle norme igienico-sanitarie.

"Ci sono volute cento assemblee con gli allevatori – continua Poggioli - per decidere di rilanciare: ristrutturare il caseificio da un lato per adeguarsi alle normative, e puntare al biologico dall’altro, per valorizzare il prodotto”.
Nel 1990 l’avvio della conversione dei terreni e degli allevamenti, nel 1994 il rinnovo del caseificio, nel 1996 le prime forme biologiche certificate. Poi, intorno è cresciuto un mondo, come i veterinari omeopati e la produzione di mangimi bio.
I primi clienti sono i negozi storici del biologico. E con la partecipazione alle fiere si inizia a lavorare con i distributori specializzati e si aprono nuovi mercati esteri, fino a raggiungere un fatturato di 1,8 milioni di euro, con un export intorno al 60% tra Germania, Svezia, Svizzera, Austria, Stati Uniti.

Ma da due-tre anni il mercato si è fatto di nuovo difficile. Il Caseificio Santa Rita ad ogni crisi risponde con un rilancio. La nuova scommessa del Caseificio è sulla valorizzazione del prodotto legato al territorio e sul turismo culturale. Intanto non si punta semplicemente sul Parmigiano-Reggiano, ma su quello bio e, per di più, "di montagna”. Gli allevatori infatti si trovano nell’Appennino modenese, tra i 600 e gli 800 metri di altitudine. Una diversificazione qualitativa per meglio competere sui mercati. E poi, vicino al Caseificio è già in costruzione, con le tecniche della bioarchitettura, un nuovo magazzino per la porzionatura ed il confezionamento sottovuoto del Parmigiano. Fiore all’occhiello di tutto il progetto è il nuovo spaccio completo di area ristoro. Una costruzione piena di luce, a pianta ottagonale, come i vecchi caselli, dove gustare e acquistare i prodotti Santa Rita e quelli di una quindicina di aziende biologiche collegate. E dalle vetrate lo sguardo corre sulle verdi colline che fanno da corona al Monte Cimone, bianco di neve. Invitati d’onore e protagonisti del nuovo Caseificio didattico saranno i bambini con le scuole, ma anche le famigliole della classica gita domenicale.

Graziano Poggioli, assessore all’Agricoltura della Provincia di Modena, conclude: "Per fare un prodotto d’eccellenza devi avere tutta la filiera d’eccellenza. Quindi, non puoi lavorare sotto costo. 17 litri di latte per ogni chilo di formaggio, con i ricavi dopo 30 mesi dall’investimento, sono un peso finanziario enorme. Vendendo sotto costo prepariamo la nostra rovina. Nelle nostre aree i terreni dovrebbero essere dedicati alla coltivazione di soia e mais biologici, garantiti non ogm, per i mangimi di qualità. Altro che agroenergia e biomasse”.

Parmigiano-Reggiano: si fa e non si fabbrica

"in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce… eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli…”.

Così Boccaccio, nella terza novella del Decameron, testimonia quanto il Parmigiano-Reggiano fosse, già nel 1300, una vera celebrità gastronomica e un simbolo di ricchezza, unendo nell’immaginario collettivo eccellenza e sovrabbondanza.
Un prodotto che da secoli segue sempre la stessa ricetta, per nulla segreta: il latte di due mungiture (quello della sera prima, parzialmente scremato, e quello intero della mattina stessa), il siero-innesto (ovvero i fermenti lattici ottenuti lasciando acidificare il siero della lavorazione del giorno precedente) e il caglio di vitello. Una catena che non si può mai interrompere. Una nascita, quella del prezioso grana, quasi magica. Quando il casaro rompe con delicatezza la cagliata immergendo lo spino con movimenti armoniosi, prima lenti e poi con un ritmo sempre più incalzante, come se seguisse il Boléro di Ravel. O quando con la pala scalza dal fondo della caldaia la massa caseosa che si è addensata e depositata e, con alcune sapienti manovre, la alza fino a farla affiorare, con delicatezza, come si fa con un neonato. E poi la avvolge in un telo di canapa che par proprio quello portato nel becco dalle ben note cicogne. Seguono formatura, raffreddamento, asciugatura, salatura. Sono i primi vagiti del grande Parmigiano-Reggiano, che potrà dirsi tale solo dopo 12 mesi di stagionatura, dedizione e amorose cure.

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