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Prodotti bio a marchio Natura Felice di Aldi, colosso tedesco dei discount sbarcato in Italia nel 2018. (Foto: Bio Bank/Rosa Maria Bertino)

Mercato

Cosa emerge nel bio tra alimentazione e cosmesi?

Dinamica dei canali distributivi, consumatori, regioni virtuose, cosmesi e greenwashing

di Rosa Maria Bertino – 14 gennaio 2020

Dopo il vino bio, VeronaFiere guarda con interesse al resto del mercato bio, tra alimenti e cosmesi.
Mentre cresce anno dopo anno VinitalyBio, l’area dedicata al vino biologico e biodinamico all’interno di Vinitaly in collaborazione con FederBio, Veronafiere lancia infatti una nuova manifestazione interamente dedicata al biologico. Si tratta di B/open, evento B2B in programma dall’1 al 3 aprile 2020 nella città scaligera.
Per tracciare un rapido scenario di ciò che emerge nei due comparti, B/Open ci ha rivolto alcune domande. Ecco le risposte che abbiamo dato.

Il mercato del bio continua a crescere. Ma è soprattutto nella grande distribuzione che avanza a grandi passi. Quali sono le dinamiche in atto tra i vari canali distributivi?

La crescita del biologico è inarrestabile. Dal 2009 al 2018 il mercato interno è passato da 1,6 a 4,1 miliardi di euro (+164%). Nell’ultimo anno la crescita è stata del 15,1%. Ma nel giro di dieci anni è totalmente mutato l’equilibrio tra i vari canali distributivi.
Nel 2009 a trainare le vendite erano i negozi di alimenti biologici, con una quota del 45%, seguiti dai supermercati (29%). A distanza le varie forme di vendita diretta e la ristorazione, entrambi con una quota del 13%.
Nel 2018 la situazione si è capovolta. In testa sono passati i supermercati con una quota del 47%. I negozi sono invece scesi al 21%. In lieve crescita gli altri due canali distributivi: vendita diretta al 17%, ristorazione al 15%.
 Negli ultimi tre anni le vendite bio nei supermercati sono cresciute con incrementi a due cifre: +28% nel 2016, +43% nel 2017, +21% nel 2018. 
È stata quindi la grande distribuzione a intercettare la crescita del mercato bio, come emerge dal Focus Bio Bank - Supermercati & Specializzati 2019 e dalle elaborazioni Bio Bank sui dati di varie fonti (Assobio, Ice, Ismea, Nielsen, Nomisma).
 Anche se nei prossimi anni la crescita potrebbe avere ritmi meno sostenuti, siamo davanti ad un mercato ancora ricco di potenzialità.

Chi sono i principali interlocutori di questo mercato oggi?

Le famiglie che acquistano alimenti bio risiedono in gran parte al Nord (62%), hanno un reddito alto (67% sopra la media), sono nuclei poco numerosi (40% di single) e di formazione recente, con il responsabile acquisti di età compresa fra i 35 e i 44 anni (63%). È questo il profilo tracciato da una ricerca Nielsen del 2019.

Il Veneto è tra le regioni storiche nel panorama del biologico. Quali sono le attività bio più presenti secondo i dati Bio Bank? Quali le altre regioni virtuose?

La Regione Veneto entra nelle prime tre posizioni in diverse tipologie di attività bio, tra le 11 monitorate sul Rapporto Bio Bank 2019 che stila due classifiche: una per numero assoluto di attività bio, l’altra per densità di attività per milione di abitanti.
Nel 2018 è risultata infatti la seconda regione italiana per numero di negozi bio (153 attività) e di mense scolastiche bio (241). E la terza per la vendita diretta (257), gli e-commerce di alimenti bio (39) e quelli di cosmesi bio (32). Raggiunge il terzo posto anche nella classifica per densità di attività bio, sia per i ristoranti con 12,6 attività, sia per le mense con 49,1 realtà.
Per le mense è l’unica regione presente in entrambe le classifiche, a conferma del suo ruolo trainante.
Il 10% delle attività bio monitorate sul Rapporto per gli alimenti ha sede in Veneto. Idem per la cosmesi con il 9,3%.
Le regioni leader per numero assoluto di attività bio nel 2018 sono invece Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana. Quelle leader per densità Marche, Umbria e Toscana. Con la Toscana che sale sul terzo gradino del podio in entrambe le classifiche.

Sono sempre di più le aziende di cosmesi e detergenza biologica e naturale certificate. Altre aziende prendono invece la scorciatoia del greenwashing. Quali rischi comporta questo fenomeno?

C’è un confine netto tra la cosmesi che si ispira genericamente alla natura, quella che scaltramente strizza l’occhio al bio e quella autenticamente naturale o biologica. E il confine si chiama certificazione.
Le aziende di cosmesi e detergenza certificate sono quasi raddoppiate nel medio periodo, passando dalle 250 censite da Bio Bank nel 2014 alle 481 rilevate nel 2018. Hanno scelto la strada più lunga, quella della trasparenza, entrando in un sistema volontario di certificazione.
Sono queste aziende a trainare l’innovazione dell’intero settore della cosmesi verso la sostenibilità. Una scelta di coraggio e insieme un investimento sul futuro sempre più bio della cosmesi.
La scorciatoia è invece semplicemente quella del greenwashing, che strizza l’occhio al bio solo nel nome, utilizza impropriamente i claim bio, veste di verde la confezione ma non la formula, oppure contiene un solo ingrediente bio in percentuale minima, ma lo strilla sul pack.
La strategia di essere verdi a parole e non nei fatti non è lungimirante perché tradisce il rapporto con i clienti, il capitale più prezioso di un’azienda.
Mentre la domanda di sostenibilità e valori etici cresce a vista d’occhio tra le nuove generazioni.
In questo panorama continua a mancare all’orizzonte una normativa europea che stabilisca le regole del gioco. Nell’attesa si lavora con la certificazione privata e volontaria, sulla base di standard molto differenti tra loro. È questo il freno più grande ad un pieno sviluppo del settore.